La teoria del Matsuyama Koen
di Patrick McCarthy
traduzione di: Marco Forti
Questa traduzione è stata espressamente autorizzata dall’autore
(la riproduzione di questo testo è consentita solo con il consenso scritto dell’autore)
Quella che segue è un’intervista rilasciata a Jesse Enkamp, per il suo blog “Karate by Jesse”.
L’idea dell’intervista nacque da alcuni dialoghi relativi all’argomento di cui scrissi per la prima volta nel 1997.
Stavo occupandomi di una tradizione che fa risalire le sue pratiche alla Okinawa del diciannovesimo secolo se non addirittura ad un periodo precedente e che era simbioticamente collegata al quanfa del Fujian attraverso persone come Wai Xinxian, Iwah, Arakaki Seisho, Kojo Taitei, Xie Zhongxiang, Higaonna Kanryo, Maezato Ranpo, Matsuda Tokusaburo, Norisato Nakaima, Sakiyama Kitoku, Wu Xianhui, ecc…
Non attribuendo troppa fiducia alle testimonianze aneddotiche, la mancanza significativa di documentazioni storiche (semmai ne fossero esistite in origine) mi obbligò ad applicare il pensiero critico nel tentativo di contribuire ad eliminare alcune delle ambiguità che avvolgevano l’apparenza di alcuni kata che sembravano originari della comunità cinese di Naha, e, specificamente, del Parco Matsuyama.
Come appresi in Cina e riportai in precedenza nella mia traduzione del Bubishi: “Chissà quanti stili locali sono andati e venuti, si sono persi nelle sabbie del tempo o non sono mai stati trasmessi?”
Detto questo ed indipendentemente dal luogo geografico preciso da cui emerse ciascun kata, secondo la mia opinione ci sono pochi dubbi sul fatto che tutto il Karate di Okinawa rappresenti una sezione trasversale delle pratiche classiche ispirate al quanfa del Fujian e in particolare, come ho scritto nel Bubishi, allo Yongchun (Gru) e alla Boxe del Pugno del Monaco.
In aggiunta alle mie ricerche collegate al Bubishi e al successivo studio e traduzioni di diversi altri scritti storici di Matsumura Sokon, Itosu Anko, Funakoshi Gichin, Motobu Choki, Miyagi Chojun, Mabuni Kenwa e Nagamine Shoshin, non credevo che una tesi formale sulla “mia opinione” su questa materia si sarebbe mai materializzata. Chi, se non una manciata di miei sostenitori l’avrebbe apprezzata o tantomeno accettata come un fatto? Conoscendo l’atteggiamento mentale prevalente posso solo immaginare il massacro peggiorativo che una tal cosa avrebbe certamente ispirato. Nonostante ciò, il mio interesse non era quello di produrre una documentazione accademica per le masse quanto quello di offrire una mia opinione personale e una spiegazione alternativa sui kata che, nonostante l’evidente origine dal quanfa, si svilupparono molto probabilmente a livello prevalentemente locale.
Spero troviate qualcosa di interessante in quello che state per leggere e se quel qualcosa vi dovesse portare a riconsiderare ciò che ora date per scontato su questa materia, allora lo riterrò un successo.
Patrick McCarthy
JE: Per ben comprendere la teoria del Matsuyama Koen, penso sia opportuna una veloce lezione di storia. Così, per chi non ne fosse a conoscenza, potrebbe – partendo dai diversi anni di ricerche estensive sul Karate nel Sudest Asiatico (Okinawa, Giappone, Cina, Taiwan, Tailandia, ecc) – spiegare brevemente come e quando il Karate iniziò a svilupparsi nel Regno delle Ryukyu (quello che oggi chiamiamo Okinawa)? Chi furono i principali pionieri di scuola antica (ancora abbastanza sconosciuti), quali erano le loro pratiche e quale fu la loro influenza?
PM: Farò del mio meglio per rispondere alla tua domanda, ma se mi permetti, vorrei prendere un momento per delineare la Teoria del Matsuyama Koen per i lettori che non ne fossero a conoscenza.
Informazioni di base
In aggiunta a quello che è comunemente conosciuto in merito alla storia della nostra arte, credo che i cinque punti seguenti siano troppo spesso ignorati:
1. L’antica espressione “il Karate è il Kata, il Kata è il Karate” rimane tanto vera oggi quanto lo era per i pionieri che l’espressero originariamente diverse generazioni or sono.
2. Le origini storiche dei Kata (型/形- Xing in cinese mandarino) risalgono verosimilmente al Quanfa (拳法- Kenpo in giapponese) cinese; e probabilmente al Monastero di Shaolin.
3. Gli appassionati locali ad Okinawa capirono chiaramente che la zona del Fujian (Cina) era il luogo desiderato ove ricevere la migliore istruzione nel Quanfa durante il periodo dell’antico regno delle Ryukyu.
4. Quei giovani uomini appassionati di Quanfa ma senza possibilità di viaggiare verso la Cina e studiare alla fonte, appresero l’arte direttamente da autorità locali nel villaggio di Kume [久米村]; un distretto considerato come il centro della comunità cinese a Naha.
5. Gli atti di violenza fisica a mano nuda [e uno contro uno] contro i quali venivano applicate risposte di autodifesa predefinite, cioè le lezioni che culminavano nei kata, appartengono al comportamento umano e non sono limitati dalla cultura, dalla razza, dal genere o dal tempo.
L’antica comunità cinese di Okinawa
Durante buona parte del periodo dell’antico Regno delle Ryukyu (1392-1879) la maggior parte della comunità cinese risiedeva nel distretto di Kumemura (conosciuto anche come Kuninda) a Naha. In quei giorni c’era un immenso parco, ora conosciuto come Matsuyama Koen, tra la spiaggia Naminoue e quello che ora è conosciuto come giardino Fukushu. Molti componenti della comunità cinese si incontravano lì per godere di diverse attività culturali durante l’anno. Tra queste vi era la pratica del Taiji e del Quanfa da parte di appassionati locali.
Poiché la maggior parte della comunità cinese era originaria della provincia del Fujian, non sorprende il fatto che il Quanfa praticato localmente fosse prevalentemente quello della Cina del Sud, in particolare quello del Fujian. Poiché il Quanfa non era originario di Okinawa i Cinesi locali studiavano, praticavano ed insegnavano quello che veniva trasmesso all’interno delle loro famiglie o comunità da generazioni. Esperti che viaggiavano periodicamente tra la Cina e il piccolo Regno delle Ryukyu influenzavano le fonti locali e le pratiche esistenti. Ufficiali militari in visita, o posti alla guardia del Castello di Shuri o dell’Ambasciata Cinese, guardie del corpo e personale di sicurezza, tutti ispiravano gli appassionati.
Anche se il Regno delle Ryukyu venne abolito nel 1879 e gli ufficiali, burocrati e diplomatici cinesi tornarono in Cina negli anni precedenti l’annessione al Giappone, l’abitudine di incontrarsi per allenarsi nel parco continuò anche tra gli esperti della generazione successiva; nonostante il sentimento anticinese crescente che caratterizzava quell’epoca. Tali incontri richiamavano diversi appassionati che non erano solo interessati a condividere la loro conoscenza del Quanfa ma anche a sperimentare diverse pratiche nello sforzo di mantenere viva l’arte e migliorarne la conoscenza.
Per quanto fermamente basato sullo stile del sud del Quanfa, gradualmente emerse un approccio innovativo ed eclettico di praticare l’arte, che conferiva una caratteristica e un ritmo unico al Matsuyama Koen. Credo che queste circostanze embrionali diedero i natali a Kata quali Suparinpei, Sanseru, Seisan, Kururunfa, Seipai, ecc… Nonostante le pratiche simili al Sanchin, che si trovano comunemente in molti stili del Quanfa del Sud e a dispetto di differenti Kata (型/形 – Xing) che usano nomi identici (ad esempio Seisan/13, Seipai/18 e Suparinpei/108, ecc…), detti kata non sono praticati o insegnati in tutti gli stili di Quanfa né nessuno è stato in grado, ad oggi, di identificare tali pratiche! Comunque, il non essere in grado di localizzare tali Kata in Cina non significa che non sia possibile trovare modelli identici(1) in molti stili di Quanfa del Sud (ad esempio Yongchun, Mantide Religiosa del Sud, Pugno del Monaco, ecc…). In effetti è possibile e verosimile.
Alcuni di quei Cinesi del Fujian, dell’ultima parte del 19° secolo, le cui impronte sono più profondamente collegate a questa eredità culturale, furono Ason, Wai Xinxian e Iwah insieme a Wu Xianhui e Tang Daiji, che li seguirono all’inizio del ventesimo secolo. Alcuni dei nomi locali più familiari includono Aragaki Seisho, Kojo Taitei, Higaonna Kanryo, Maezato Ranpo, Matsuda Tokusaburo, Norisato Nakaima, Sakiyama Kitoku, ecc…
Conoscenza comune … un mistero?
Mentre leggo e rilego le mie risposte a questa intervista, ce n’è una che continua a ronzarmi in testa: “Quello che qualcuno da per scontato, è un mistero per altri”. A rischio di dare troppo per scontato, ho deciso di includere alcune informazioni addizionali sperando che possano supportare la comprensione generale di questa presentazione, cercando allo stesso tempo di non annoiare a morte chi ha già familiarità con la “conoscenza comune”.
Le 3K del Karate moderno: Kihon, Kumite e Kata
Nonostante a parole si faccia riferimento all’autodifesa pratica, molto di quello che il Karate moderno rappresenta in questi giorni riguarda tre temi principali:
* Per prima cosa troviamo i Kihon-waza (基本技/tecniche di base) che ne costituiscono i pilastri fondamentali e risalgono agli anni venti e trenta del secolo scorso. Il concetto di tecniche di base come lo conosciamo oggi non esisteva in precedenza.
* In seguito troviamo il tipo di combattimento agonistico chiamato Kumite (組手); uno sport risalente al periodo immediatamente precedente la Seconda Guerra Mondiale, creato in Giappone e largamente basato su vittoria a punti dettata da tecniche ad impatto percussivo.
* Infine troviamo le pratiche a solo stilizzate, chiamate “Kata” (型/形), molte delle quali risalgono all’Okinawa del periodo precedente al 1900.
Nonostante abbiano prodotto atleti agonisti meravigliosamente dotati, i tre temi fondamentali del Karate moderno (Kihon, Kumite e Kata) non mancano di evidenziare i propri difetti quando indirizzati all’ottenimento dei risultati difensivi attesi dall’arte originaria, questo in quanto sono limitati da regole! Quando ci si riferisce all’autodifesa realistica, non ci si può dimenticare che la vera violenza fisica è brutale, terribile, imprevedibile e non governata da alcun tipo di regola. Inoltre essa implica ogni tipo di aspetto applicativo (suolo, corpo a corpo, placcaggi, ecc…) che, semplicemente, non sono presi in considerazione nel Karate tradizionale. Tristemente, molte delle pratiche di autodifesa trasmesse nell’ambito del Karate tradizionale riflettono un atteggiamento mentale dominato da scenari di attacco irrealistici, da regolamenti e da partner di allenamento compiacenti. Tutto ciò, unito alla mancanza di resistenza aggressiva, rende tali pratiche di autodifesa completamente assurde.
Te/Ti (手/mano/i) – L’arte di combattimento a mani vuote di Okinawa
Oltre a vaghi riferimenti aneddotici che fanno risalire l’origine di questa arte alla Cina, ci sono davvero pochi documenti storici attendibili in grado di tracciare accuratamente ciò che appare come una storia confusa.
La primissima descrizione di un’arte di combattimento a mani nude proviene da uno studioso confuciano chiamato Junsoku (程順則 1663-1734)(2). Junsoku fu un sostenitore di quest’arte tanto che divenne noto come “Te” Junsoku. Spesso definito “il Saggio di Nago” e “Padre Educatore”, Junsoku fu anche un ufficiale governativo importante durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu.
Nel 1683 scrisse: «Non importa quanto tu possa eccellere nell’arte del Te (手/uso delle proprie mani), e negli studi scolastici, niente è più importante del tuo comportamento e dell’umanità dimostrati nella vita quotidiana».
Mentre non si hanno certezze riguardo all’effettiva origine del termine “Te” (il cui significato è “mano/mani”, pronunciato anche Di e Ti, o Ti’gwa), il suo significato non è difficile da decifrare, in particolare tenendo presente la natura dell’arte; infatti considerando il periodo e le locazioni geografiche, il termine si addice tipicamente alla natura astratta del pensiero orientale.
Così è anche il concetto di Bunbu (文武/il duplice sentiero della penna e della spada) che si concretizza nell’equilibrio tra l’allenamento fisico e lo studio accademico per nutrire lo sviluppo del carattere, tipicamente indicativo dell’atteggiamento mentale di quel periodo.
Comunque lo si voglia considerare, l’uso del termine “Te” nel 17° secolo da parte di Junsoku, costituisce un precedente storico in riferimento al quale l’arte di combattimento a mani nude verrà identificata per generazioni future. Non meno interessante è riconoscere quanto un semplice appunto possa essere così significativo come lo è in questo caso poiché riferendoci a questo termine, al periodo, alle figure storiche e alle finalità perseguite, possiamo fissare una base da cui partire per comprendere la natura di quest’arte.
Radice, prefissi e suffissi
Per chi non avesse dimestichezza con la grammatica, la radice è la parte di una parola che ne contiene il significato o la definizione. Il prefisso è un elemento posto prima della radice, che modifica il significato della parola o ne crea una nuova. Il suffisso è un elemento posto dopo la radice, che cambia sia il significato che la funzione della parola.
Ne faccio menzione qui perché due prefissi distinti (Tou/唐e Kara/空) e due suffissi unici (jutsu/術 e do/道) hanno apportato significato e confusione alla radice della parola “Te” (手). Analizziamoli ora più da vicino.
“Te” – I prefissi e suffissi
Ci sono due diverse grafie accettate per scrivere “Te” in lingua giapponese (con ideogrammi di origine cinese):
La prima grafia è 唐手術 e viene pronunciata Toute-jutsu/Toudi-jutsu o Karate-jutsu: era comunemente utilizzata ad Okinawa prima della Seconda Guerra Mondiale e nella madrepatria giapponese fino ai primi anni trenta del secolo scorso.
La seconda grafia è 空手道 e viene pronunciata Karate-do: divenne il nome moderno dell’Arte per opera dei giapponesi nel 1933, nome che sarebbe stato adottato anche ad Okinawa dal 1936.
Si noti che ogni grafia si compone di tre ideogrammi separati:
1) 唐手術
2) 空手道
Definizione della prima grafia
Il primo carattere (唐), significa letteralmente Tang (la dinastia cinese che governò l’Impero cinese dal 618 al 907), ed era uno dei modi comuni con cui i Giapponesi e gli abitanti di Okinawa si riferivano alla Cina e/o descrivevano, usandolo come prefisso, cose cinesi. Nonostante una teoria suggerisca che il “Te” sia poco più che un’evoluzione locale della boxe siamese antica, si ritiene che il prefisso Tang rappresenti la fonte originaria del “Te” (vale a dire la Cina del periodo Tang). In giapponese Tang è pronunciato Tou e/o Kara; come in Kara-te e/o Tou-te/Tou-di. È interessante notare che lo stesso ideogramma è usato anche nel nome dell’arte di combattimento coreana Tang Soo Do (唐手道).
Il secondo carattere, in entrambe le grafie (手), significa “mano” o “mani” e, come precedentemente ricordato, costituisce un modo arcaico per descrivere l’arte di combattimento a mani nude durante il periodo del Regno delle Ryukyu. Non è del tutto chiaro se il termine venisse usato per riferirsi all’uso del pugno (per combattere) o fosse un termine collettivo usato per descrivere tutti gli aspetti dell’arte a mano vuota (vale a dire colpi, kata, lotta, ecc…). Il carattere viene pronunciato Te in giapponese e Di o Ti in Uchinaguchi, il linguaggio delle Ryukyu.
Il terzo carattere, nella prima grafia (術), significa tecnica o, ancora meglio, “arte”. Talvolta erroneamente scritto/pronunciato come “jitsu” (giorno), il carattere deve essere correttamente traslitterato/pronunciato come “jutsu”. In contrapposizione alla controparte moderna, do/道, le arti basate sul concetto di jutsu tendono ad essere maggiormente focalizzate sull’applicazione che sullo “sviluppo del carattere”.
Sebbene l’uso di questa grafia per scrivere Karate-jutsu [唐手術/anche Toute-jutsu e Toudi-jutsu] possa risalire ai tempi di Matsumura Sokon (1809-1899), per quanto ne sappiamo apparve per iscritto per la prima volta solo nell’ottobre del 1908 ad opera di un suo allievo, Itosu Anko (1832-1915).
Definizione della seconda grafia
Il primo carattere della seconda grafia (空), significa vuoto (può avere anche il significato di cielo ed essere pronunciato sora) e per quanto sia stato usato per la prima volta nella pubblicazione del 1905 “Karate Kumite” (空手組手/Combattimento a mani nude) di Hanashiro Chomo (1869-1945) non venne utilizzato come nome ufficiale per descrivere questa tradizione fino al dicembre del 1933, quando il Dai Nippon Butokukai (大日本武徳会) lo approvò come designazione dell’arte divenuta parte del moderno Budo (武道) Giapponese.
Il secondo carattere è già stato definito (vedi sopra).
Il terzo carattere della seconda grafia (道) significa “via”, “percorso”, “strada” o più genericamente “dottrina” o “principio”. Basato sulla filosofia cinese del Tao (Dao/道), è un concetto metafisico che richiama l’essenza primordiale o la natura fondamentale dell’universo.
Il Tao (道 / Michi – la Via)
Largamente adottato dal pensiero confuciano e dal buddhismo Zen, il Tao ha influenzato profondamente ogni aspetto della cultura cinese e, di riflesso, la mentalità delle popolazioni vicine, dal Sud Est Asiatico alla Corea, al Giappone. Poiché l’essenza spirituale del Tao è astratta e difficile da definire accuratamente, è stata utilizzata quale veicolo perfetto attraverso il quale i leader giapponesi più ambiziosi, nella fase dell’emersione dall’oscuro periodo feudale, perseguivano i loro scopi politici. Nel corso degli ultimi anni del diciannovesimo ed i primi del ventesimo secolo (in cui il Giappone visse un periodo di radicale escalation militare) con la scusa di rimpiazzare costumi disdicevoli con le “giuste leggi della natura”(3), un governo revisionista promosse una visione distorta delle virtù (德) e delle credenze spirituali del Buddhismo (Zen) e ridefinì le pratiche dello Shinto (神道) per renderle confacenti agli scopi perseguiti. Questo portò alla definizione dello Shinto quale religione di stato e a ripristinare per l’Imperatore lo status di divinità, visione che divenne inestricabilmente legata alla causa del nazionalismo giapponese: Kokutai (sistema politico nazionale), Shushin (educazione morale) e Nihonjinron (unicità della “razza giapponese”).
In superficie pochi Giapponesi si sono chiesti quale ricompensa interiore fosse ottenibile dal perseguire questa visione e, comunque e al meglio della mia conoscenza, lo spirito di questa trasformazione resta largamente indefinita nel suo corretto contesto storico, contesto che riguarda anche lo sviluppo del Budo del quale il Karatedo è parte integrante. Nonostante la meravigliosa revisione dello statuto che delinea le premesse filosofiche odierne del Budo, ritengo che conoscere qualcosa della sua storia possa aiutare il lettore a comprendere meglio come e perché i suoi concetti distorti abbiano alterato sia la pratica originaria che gli scopi della nostra tradizione. Su questa base vorrei fornire una visione delle circostanze politiche dalle quali si è sviluppato il Karate moderno.
Uscendo dal periodo feudale, l’idea di revisionare “ufficialmente” i concetti spirituali astratti e fonderli con la pratica delle arti dei guerrieri, promuoveva lo scopo nazionale di pace, equilibrio e vita in armonia con la natura. Il nuovo governo, non disponendo più una classe guerriera, definì una propria idea in merito alla formazione di una vigorosa forza militare. Mentre i revisionisti ponevano le fondamenta del nuovo Impero del Giappone, venne largamente accettata l’idea di trasformare le sue arti guerriere in pratiche senza rischi, finalizzate all’ingresso nel sistema scolastico.
Il concetto di Michi (道), supportato da un governo ambizioso e fortemente orientato al militarismo, serviva efficacemente come condotto ideale attraverso il quale veicolare la prestanza fisica e la conformità sociale. In tal modo si creava una fonte interna dalla quale sarebbe emerso un flusso ininterrotto di forti coscritti con un intrepido spirito combattivo. A supportare questa visione fu un’abile propaganda militare che collegava il Budo (武道) al suo predecessore Bushido (武士道) e descriveva la pratica come “il modo in cui uomini comuni sviluppavano un coraggio fuori dal comune”.
Descritto come “Wa” [和], il concetto centrale di pace, equilibrio e vita in armonia con la natura venne accolto senza riserve dai Giapponesi del periodo post-Edo. A supporto della costruzione dell’Impero del Giappone, ci si aspettava che i sostenitori dimostrassero una continua predisposizione al sacrificio degli interessi personali per il bene della tranquillità comune. Non erano richieste tattiche migliori per ispirare un’intera nazione. La cultura conformista disponeva ora di un percorso ben definito sul quale seguire “la Via”: Kokutai (sistema politico nazionale) ed i precetti dello Shushin (educazione morale) che includono diligenza, conformismo, dedizione alla produttività di massa, stretta aderenza alle gerarchie, venerazione dell’Imperatore e lealtà perenne ad una organizzazione (o azienda), con ciò perpetuando il mito del Nihonjinron (unicità della “razza giapponese”).
Si dice che il Budo sia un microcosmo della cultura giapponese dalla quale deriva … una rappresentazione in miniatura delle sue credenze, dei suoi usi e comportamenti sociali. Il Budo fa risalire le sue origini alla tradizione del Bushido ed incorpora i precetti del Buddhismo Zen. Incoraggia la disciplina, l’introspezione, lo sviluppo del carattere ed un senso di etica morale, in modo che chi vi partecipa possa contribuire alla prosperità sociale, all’armonia e, infine, apporti beneficio ala società.
Rispetto, cortesia ed autocontrollo sono tratti tenuti in alta considerazione nella pratica del Budo (武道) e le sue arti individuali non sono altro che percorsi attraverso i quali è possibile apprendere ed insegnare la sua filosofia. Il Karatedo è una delle nove arti da combattimento moderne del Budo, descritta come una parte di un tutto più ampio, di cui le altre otto parti sono Judo/柔道, Kendo/剣道, Iaido/居合道e Jodo/杖道, Aikido/合気道, Kyudo/弓道, Naginatado/薙刀道, Jukendo/銃剣道, Sumo/相撲 e Shorinji Kenpo/少林持拳法.
Sotto alcune delle principali vie attraverso le quali è stata veicolata la conformità sociale post feudale / prebellica:
Bushido (武士道), la Via del guerriero
Shinto (神道), la Via degli dei (religione nativa giapponese)
Budo (武道), la moderna Via del guerriero
Shodo (書道), la Via della scrittura
Chado (茶道), o sado, o chanoyu, la Via della cerimonia del The
Kado (華道) o Ikebana, la Via della composizione floreale
Le radici del Karate ad Okinawa?
Se utilizziamo genericamente il termine Karate per identificare le arti di combattimento a mani nude in generale e concordiamo sul fatto che le radici risalgano alla Cina, allora ci sono tutte le ragioni per credere che tali arti siano state insegnate sin dal momento in cui i Cinesi arrivarono nel Regno delle Ryukyu, alla fine del quattordicesimo secolo.
Principali pionieri?
Mi hai chiesto anche informazioni sui pionieri dell’arte e sulla loro influenza. Essendo uno storico appassionato e avendo avuto la fortuna di lavorare a molte traduzioni storiche importanti (il Bubishi e le opere di Matsumura Sokon, Itosu Anko, Funakoshi Gichin, Motobu Choki, Miyagi Chojun, Nagamine Shoshin, ecc…), oltre ai nomi appena indicati, fornisco un elenco di persone citate (senza un ordine particolare) nelle opere cui ho lavorato: Makabe Choken, Teruya Kanga [conosciuto anche come Toudi Sakugawa], Matsumura Sokon (1809-1899), Itosu Anko (1832-1916), Aragaki Seisho (1840-1920), Kuwae Ryosei (1858-1939), Yabu Kentsu (1866-1937), Funakoshi Gichin (1868-1957), Hanashiro Chomo (1869-1945), Kiyan Chotoku (1870-1945), Azato (1827-1906), Kiyuna Peichin (1845-1920), Sakiyama (1833-1918), Matsumora Kosaku (1829 – 1898), Uku Giko (1800-1850), Teruya Kishin (1804-1864), Motobu Choyu (1865-1929), Yamazato Giki (1866-1946), Kuba Koho (1870-1942), Iha Kotatsu (1873-1928), Chibana Choshin, Nagahama Chikudon Pechin, Oshiro Chojo (1888-1939), Tokuda Anbun (1886-1945), Mabuni Kenwa (1889-1953), Gusukuma Shinpan (1890-1954), Kudeken Kenyu, Kiyoda Juhatsu (1887-1968), Miyagi Chojun (1888-1953), Kudaka Kori, Motobu Choki, Aragaki Ankichi, Akata-no-Okuda, Yamakawa-no-Matsugen, Sadoyama-Oyakata Aza Tanmei, Meiguwa-Matsumura, Matsumura-Tozo-no-Omura, Akahira-no-Ishimine, Kanagusuku (Kinjo), Tokumine Nakijin-Guwa, Kanagusuku-no-Ota, Hokama Pechin, Tomigusuku (Tomishiro) Oyakata, Kubagawa-no-Ogusuku, Oyadomari, Nakasone Urasaki, Torikobori-no-Tekken Kanagusuku, Tawada, Onaka-no-Kanna, Tomiyama-mawashi-no-Uehara Ko-Guwa, Uchishiraji-No-Yabiku-Guwa Soishi, Izumisaki-no-Sakiyama, Uchishiraji Magyokubashi, Gushi Pechin, Awaren, Miyazato-Guwa, Higashi-no-uemon-dono no Shimabukuro, Kunen Boya-no-Higa, Nishi-no-Nagahama, Kume-no-Kojo-Guwa Maezato, Tomari no Gusukuma Kanagusuku, Chinen Shikiyanaka, Tsuken Hanta-Guwa, Kohazo Miyahaira, Sashiki no Yabikunushi, Tekken Miyagusuku, Mabuji Aji, Koroku Aji, Nishi no Higaonnna-Guwa, Higashi no Higaonna, Wakita no Ajama no Shimabukuro, Kumoji-no-Arakaki-Guwa, Tomari no Azato no Yamada, Onaka no Kiyuna Tomiyama, Momohara no Higashikazahira Oyakata, Torikobori no Kuwae, Kanagusuku (Kinjo) no Yamaguchi, Yamane no Chinen, Tomishiro Oyakata, Nagahama Tomoyori Gushi Peichin, Gibo no Ishimine, Maezato Kojo Guwa, Kunen Boya no Hikashi no Higaonna.
Parti di un tutto più ampio
Nonostante le divisioni apparentemente sconfinate tra le varie interpretazioni del Karate attuale, è importante comprendere che quando l’arte venne originariamente introdotta dalla piccola isola rurale di Okinawa alla madrepatria giapponese all’inizio degli anni venti del secolo scorso, non era nulla più che un insieme casuale di pratiche “a solo” sovraritualizzate; il punto è che non rappresentava l’arte nella sua interezza ma piuttosto una parte di un tutto più ampio. Ecco come vedo le singole parti di un tutto più ampio:
Tegumi (手組) era originariamente una forma di lotta le cui origini si fanno risalire ai tempi di Tametomo (11° secolo). Si ritiene che questa disciplina derivi dalla lotta cinese (Jiao Li/角力 da cui poi si sviluppò lo Shuai Jiao/摔角 – nuovo nome fissato nel 1928] e sia evoluta nella forma unica di lotta prima di diventare uno sport regolamentato conosciuto come Sumo delle Ryukyu o Sumo di Okinawa.
Torite (Chin Na/Qinna/擒拿in cinese Mandarino) è il metodo cinese di derivazione Shaolin finalizzato all’afferrare e trattenere un avversario. Un tempo utilizzato vigorosamente dagli ufficiali delle forze dell’ordine, delle forze di sicurezza e dagli ufficiali carcerari durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, la parte a solo tratta da queste pratiche può essere ritrovata nei Kata.
Kata (Hsing/Xing 型/形in cinese Mandarino), vigorosamente coltivati localmente durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, sono sequenze di combattimento a solo che fanno risalire le loro origini al quanfa (拳法) cinese del Fujian, in particolare alla boxe della Gru Yongchun, al Pugno del Monaco e agli stili del sud della Mantide Religiosa. Usati come forma di movimento umano e sistema di allenamento personale, raggiunsero la popolarità presso i Cinesi come metodo per promuovere la prestanza fisica, il condizionamento mentale ed il benessere in senso olistico.
Ti’gwa (手小) era la forma di impatto percussivo in uso ad Okinawa, conosciuta anche come “Te”, “Ti”, “Di” (手, il cui significato letterale è mano/mani) o, ancora come “Okinawate” o “Uchinadi”. Arte legata principalmente all’uso del pugno chiuso per colpire l’avversario (in contrasto con il metodo a mani aperte preferito dai Cinesi, secondo quanto riportato sia da Kyan Chotoku che da Miyagi Chojun), per quanto venissero usati come armi anatomiche di uso frequente anche la testa, i piedi, le tibie, i gomiti e le ginocchia.
JE: Così oggi abbiamo forum online, allenamenti organizzati, grandi federazioni, blog, competizioni, ecc… per chiunque desideri condividere, imparare ed impartire conoscenza sul Karate in modo semplice … ma la situazione non era certo questa quando il Karate “nacque” ad Okinawa. Sappiamo che il Karate si diffuse in Giappone e, in seguito, nel resto del mondo, ma all’inizio, come si propagò all’interno della comunità Okinawense? Per certo dovevano avere un sistema di comunicazione. Disponevano di una qualche piattaforma per condividere informazioni?
PM: Principalmente, durante il periodo dell’antico Regno delle Ryukyu, l’arte di autodifesa veniva insegnata ed appresa in relativa segretezza. Come regola veniva trasmessa da padre a figlio oppure da qualcuno scelto dalla famiglia per conoscenza, rispetto e fiducia, attraverso raccomandazioni o su invito (ad esempio dallo zio, dal nonno, da un vicino, ecc…). Allora pare fosse usanza trasmettere gli insegnamenti solo al primogenito (anche se non ho la certezza di quanto questa usanza fosse effettivamente seguita). È importante capire che l’arte non era ben conosciuta né ricercata con entusiasmo come ai giorni nostri. Infatti, per quanto ritenga che la maggior parte della popolazione non ne avesse nemmeno sentito parlare e non conoscesse gli esperti che vivevano nel loro stesso quartiere, l’idea che potesse essere insegnata pubblicamente, o anche all’esterno della ristretta cerchia familiare, appariva insolita. L’arte del Karate così come la conosciamo oggi, semplicemente non era conosciuta a quei tempi. Lasciami ripetere qualcosa che il mio insegnate novantaquattrenne di Okinawa, Kinjo Hiroshi (largamente rispettato in Giappone come uno dei maggiori storici del Karate), mi ha raccontato negli anni riguardo all’arte. Diceva spesso: “Nessuno fu più sorpreso degli stessi abitanti di Okinawa nel vedere il Karate diventare il fenomeno mondiale che è oggi … è semplicemente incredibile”.
JE: Mi lasci arrivare al punto direttamente: Quindi quello che sta dicendo è che le persone che posero le basi del Karate di vecchia scuola erano … di mentalità aperta? Condividere apertamente le conoscenze e discutere tra loro in pubblico sulle tecniche delle arti marziali, sui metodi di allenamento, su idee ed esercizi? Cosa è successo a questo tipo di mentalità? Ha qualcosa a che fare con la successiva “giapponesizzazione” del Karate (nel Karate-do: La “Via” del Karate)?
PM: Se mi stai chiedendo se in passato gli abitanti di Okinawa organizzassero normalmente seminari aperti invitando istruttori sconosciuti di diverse arti marziali per approfittare di momenti di cross-training la mia risposta è no! Se invece mi chiedi se era diffuso il fatto che “colleghi” (dohai/同輩) condividessero le loro conoscenze e/o istruttori raccomandassero ai loro allievi di andare ad acquisire specifiche competenze o a studiare con un altro maestro, specie dopo averli portati più avanti che potevano, allora la risposta è sì, perché questo modo di agire era comune in passato. Le persone dalla mentalità ottusa e sovraprotettiva così diffuse oggi sono strettamente collegate alla visione affaristica della tradizione. È tutto collegato alla predilezione per l’esclusività, il controllo ed il profitto. Per quanto i giapponesi non possiedano certo il monopolio di tale atteggiamento mentale e relative insicurezze, di certo vi hanno qualcosa a che fare; molti puntano il dito accusatore contro la JKA per aver creato un precedente nel concetto associato al credere che uno stile specifico fosse superiore ad un altro. La tradizione non è mai stata intesa come seguire ciecamente gli uomini del passato, conservandone le ceneri in un’urna ma piuttosto nel mantenere viva la fiamma del loro spirito e nel continuare a ricercare quello che essi cercarono nello sforzo di mantenere l’arte viva e funzionale. Questo è il vero messaggio dei pionieri.
JE: Tornando al Matsuyama Koen, questa teoria spiega molto riguardo al Karate in generale e ai Kata nello specifico, giusto? Infatti tale teoria chiarisce il perché gli stessi schemi di movimento, modelli di autodifesa (o bunkai se preferisce) appaiano frequentemente in diversi kata, come se i kata fossero qualcosa “collegato” a ritroso. Intendo dire: se si prende un kata e se ne modifica leggermente lo schema, si cambia un po’ la linea di esecuzione (enbusen), si personalizza qualche piccolo dettaglio, insomma si cambia il kata solo superficialmente, si mantengono ancora intatte tutte le principali idee e finalità di ogni serie di movimenti. In fondo i kata non sono quindi una collezione degli stessi vecchi modelli difensivi?
Il collegamento alla sua teoria sugli atti di violenza fisica abituale si fa interessante, vero?
PM: C’è un’eco qui? 😉
JE: Aspetti … tanto per chiarire: questa è una delle ragioni principali per cui esistono così tante versioni dello stesso kata? Intendo dire, se guardiamo oltre le numerose (e ovviamente moderne) versioni da competizione è così.
PM: Questo è un argomento che ci deve far pensare. Immagina di essere parte di una cultura conformista, dove si pone una grande enfasi sulla tradizione, sulla pietà filiale, dove non si mettono in discussione le autorità e la tranquillità comune. Qualche insegnamento “antico” ti è stato trasmesso da una figura autoritaria e ti è stato detto che non lo devi assolutamente cambiare e che il suo significato diventerà intuitivamente ovvio con il tempo e la pratica. Non conosci le premesse contestuali (cioè gli atti di violenza fisica abituale) sulla base delle quali condurre un’analisi che sai essere legata al combattimento ma tu sei inserito in un ambiente regolamentato, con avversari compiacenti nonostante tu sia spinto al confronto in sessioni di sparring (finto combattimento). La norma accettata è quella di applicare qualsiasi cosa ad un pugno opposto e/o ad un calcio diretto! Capisci? Ok, tieni in mente questo per un momento. Adesso ti chiedo di considerare la fonte da cui derivano i cosiddetti “insegnamenti antichi”. Per fare questo esercizio posso chiederti di pensare ai diversi “esperti”, istruttori, cinture nere ed altri appassionati che conosci ed al loro livello di esperienza, comprensione e competenza. Ti chiedo inoltre di pensare da chi e in quali circostanze e per quanto tempo hanno appreso quello che sanno… Mi chiedo se stai cominciando a vedere quello che intendo dire? Ora torniamo un momento all’argomento originario del cercare di immaginare perché abbiamo così tante versioni dello stesso kata ed afferrarne la natura. È abbastanza semplice, non trovi?
JE: Wow. Ok, allora ora che abbiamo analizzato tutto, c’è qualche ovvia conclusione che chiunque possegga un cervello funzionante può trarre da quello che ha affermato sopra: non si troverà mai un kata “originale” di Karate in Cina. Non si troverà mai il gemello segreto di kata famosi di Karate come Bassai, Kushanku, Seisan o Suparinpei nascosti in qualche antico villaggio cinese. Nonostante questo molti famosi ricercatori (per qualche ragione mi viene in mente il Goju-ryu) insistono nel continuare ad andare in Cina, in cerca del “Sacro Graal” del Karate, cercando disperatamente di trovare un maestro sifu (sensei) che conosca uno hsing/xing/quan (kata) che sembri esattamente quello praticato nel loro karate! Ma la teoria del Matsuyama Koen afferma in pratica che stanno gettando via tempo e soldi, giusto?
PM: Beh, non sono certo che sia vero al 100% perché niente è così appagante come fare un viaggio alla fonte. L’esperienza di essere lì di persona, con l’abilità di essere in grado di comunicare (come comunichi nella tua lingua) con autorità locali, ed approfittare di cross-training con differenti stili dona meravigliosi spunti penetranti … specialmente quando sai cosa cercare (ed hai occhi per vedere). Come ho già accennato prima nel corso di questa intervista, puoi ancora trovare stili del Sud che usano pratiche simili al Sanchin e molte sequenze a solo identiche a quelle comunemente visibili nei kata del Karate di Okinawa. Devi anche sapere che un’altra teoria afferma che gli stili di quanfa cinese del Fujian, progenitori dei kata ancestrali del Karate di Okinawa di vecchia scuola, oggi non esistano più, si siano evoluti o siano stati soppiantati da altri stili.
JE: Per me la teoria del Matsuyama Koen, insieme alla sua ormai famosa teoria degli atti abituali di violenza fisica (e naturalmente alla meno conosciuta “Osservazioni sui Kata in dieci punti di McCarthy”) collega e fornisce una chiara e vivida immagine dell’intera teoria e della storia sottostanti all’enigma del Karate e alla sua precedente “imperscrutabile” evoluzione. Se si aggiunge tutto questo alla quantità folle di articoli straordinari sul Karate (sì, ogni singolo articolo) e alla moltitudine di libri illuminanti e traduzioni originali susseguitesi negli anni, allora il Karate inizia ad apparire un po’ più … comprensibile.
PM: Sì ma cosa posso saperne io … che non sono di Okinawa? 😉
Quando penso all’enigma che ammanta il Karate e a come doveva essere compreso mi ricordo un proverbio cinese associato al suo studio:
上山的路有很多,但风景都是一样的
shàngshān de lù yǒu hěnduō, dàn fēngjǐng dōu shì yīyàng de
(Molti sono i sentieri che portano alla cima della montagna, ma la vista è sempre la stessa)
Un messaggio senza tempo suggerisce che, indipendentemente dal percorso seguito, la destinazione sia la stessa per ciascuno di noi … e ancora, giudicando dalla propaganda politica che porta uno stile contro l’altro, sembra che l’imparzialità abbia abbandonato alcuni di noi. Indipendentemente dallo stile, il Karate è un percorso! È una forma di espressione fisica, un meccanismo finalizzato a comprendere se stessi, la vita e il mondo in cui viviamo. Secondo la mia opinione i temi concettuali di quest’arte trascendono la cultura, la razza, il genere ed il tempo. Collegandolo al proverbiale “percorso”, dipende da quanto lontano si è giunti sul cammino perché prima o poi appaia evidente come lo scopo non sia il giungere a destinazione, ma il viaggio stesso!
JE: per concludere, ha qualche ultimo pensiero sulla teoria del Matsuyama Koen in generale oppure su malintesi diffusi sul Karate nello specifico (che so cerca nel suo lavoro di chiarire ogni giorno) di cui più persone dovrebbero essere portate a conoscenza?
PM: Sì, ma forse li lasceremo per il progetto del tuo prossimo libro…
Patrick McCarthy
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(1) Parte della mia teoria degli HAPV (atti abituali di violenza fisica) / esercizi a due persone presuppone che i Kata siano il risultato dell’unione, da parte dei pionieri dell’arte, di concetti applicativi prestabiliti (“modelli”) in sequenze a solo quali meccanismi creativi attraverso i quali esprimere la propria prodezza individuale mentre si rafforzava il condizionamento mentale, fisico e olistico.
(2) Tei Junsoku [1663-1734] fu uno studioso Confuciano e ufficiale governativo del Regno delle Ryukyu. Definito in senso non ufficiale come “ministro dell’educazione” divenne particolarmente famoso per il suo contributo alla cultura e all’educazione sia ad Okinawa che in Giappone.
(3) Il giuramento in cinque articoli (五箇条の御誓文 Gokajo no Goseimon, n.d.t.) – Giappone 1868:
1) Fondazione di assemblee deliberative;
2) Coinvolgimento di tutte le classi negli affari di stato;
3) Revoca delle leggi suntuarie e delle restrizioni di classe in material di occupazione;
4) Sostituzione dei costume disdicevoli con le giuste leggi della natura;
5) ricerca internazionale di conoscenza per rafforzare le fondamenta del dominio imperiale.
Copyright © Patrick McCarthy
traduzione di: Marco Forti
Questa traduzione è stata espressamente autorizzata dall’autore
(la riproduzione di questo testo è consentita solo con il consenso scritto dell’autore)